Relazione di Erio Castellucci (arcivescovo di Modena e vicepresidente della Cei). Alba, martedì 18 gennaio 2022
Il contesto
–È finita la “cristianità”. Non c’è più saldatura tra Vangelo e valori sociali. Ciò ci porta a testimoniare il Vangelo in modo nuovo: è finita la cristianità ma non è finito i cristianesimo Ciò testimonia una crisi ma anche un’opportunità . Il Sinodo non è determinato da questo ma si muove su questa realtà.
–Stiamo vivendo un periodo (ormai biennale!) di crisi che svela la precarietà, la paura, l’ansia a cui non eravamo abituati. Essa, però, nasconde opportunità, delle risorse: essa, in particolare, ci porta alle domande fondamentali sulla vita, che in un clima più spensierato non ci poniamo. Che senso ha la vita? Che senso ha la morte? C’è una vita dopo la morte? Che senso ha la sofferenza? In che senso Gesù ci ha salvato? Cosa significa la Provvidenza di Dio?. Queste grandi domande per noi cristiano si incanalano nel credo. Esse si sono riaccese nel cuore degli uomini di oggi.
Il Sinodo è uno stile
Come dice papa Francesco, bisogna «rovesciare la piramide»: invece di partire da un documento del papa su cui tutti (in tutto il mondo) sono chiamati a riflettere (il Sinodo riguarda tutto il mondo), il papa ha avviato un Sinodo mondiale a pezzi. Partiamo da una consultazione del popolo di Dio (laici, preti, suore religiosi): tutti quelli che possono dare un contributo. Senza dare indicazioni troppo precise, senza selezionare . Partiamo da una domanda fondamentale, questa: la Chiesa sta camminando accanto alle persone? Noi Chiesa stiamo camminando con Gesù e quindi stiamo camminando al passo delle persone ? È un po’ mettersi in piazza: ci mettiamo in gioco. Ci riusciamo a comunicare la bellezza del vangelo, la bellezza dell’amore di Dio ? In questo primo anno, in cui il Sinodo è partito , quasi ovunque, è un anno di ascolto.
L’ascolto: il taglio narrativo
Il papa su questo ha insistito molto. La parola della Chiesa deve ascoltare, ascoltare in profondità come Gesù che nel Vangelo fa molte domande (più di duecento!), perché Gesù vuole sentire quello che c’è nel cuore delle persone. Si parte dall’ascolto della Parola ( se no ci si parla addosso !) , e ci si parla, comunicando
delle esperienze, anche dei progetti, dei sogni delle critiche. Non dobbiamo assumere l ’”atteggiamento parlamentare” (come dice il papa) . Fare Sinodo è mettersi in ascolto, per questo il taglio è narrativo. Qui si inserisce il cammino sinodale della Chiesa italiana. Si tratta, quest’anno, di chiamare ciascuno a esprimere la propria vita non tanto attraverso dei ragionamenti quanto piuttosto attraverso dei fatti.
Quando si vogliono raccogliere delle emozioni profonde , il metodo migliore è il racconto (non è un caso che la Bibbia nei primi sei libri sia un racconto). Il taglio narrativo serve a far venire fuori quello che c’è dentro. Tutti possono raccontare. Per noi cristiani non è solo un’emozione ma è anche un veicolo dello spirito. Per sette volte, all’inizio dell’Apocalisse , l’apostolo Giovanni dice: «Ascolta ciò che lo spirito dice alle Chiese» (Apocalisse, 1-3) . In questi due anni (mi limito a questo anche se tutta la nostra vita è così) possiamo dire che lo spirito ha parlato in profondità anche al di là dei confini visibili della Chiesa.
Allargare la possibilità di esprimere
Per questo ci è chiesto di allargare la possibilità di esprimersi a tutti, non solo agli operatori pastorali che saranno chiamati semmai ad animare. Lo spirito soffia ovunque c’è una retta coscienza, una sincera ricerca della verità. Quando san Paolo elenca i frutti dello spirito (in Galati 5, 22: «Il frutto dello spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé»); sono tutte le sfaccettature dell’amore. Non dice che questo è riservato ai praticanti. Il frutto dello spirito è dovunque c’è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza dominio di sé. E sarebbe bello, in
questa prima parte del cammino sinodale, raccogliere i frutti dello spirito di chi non si sente parte viva della Chiesa, persino di chi ha qualcosa da criticare. Perché anche questo ci serve.
A maggio prossimo, a conclusione di questo primo anno pastorale, l’assemblea dei vescovi (integrata anche da altri rappresentanti del popolo di Dio) farà una prima lettura di ciò che è emerso.
La “sinodalità” non è una categoria su cui ragionare ma un’esperienza da vivere
Ogni diocesi dovrà consegnare, a fine aprile e inizio maggio, una decina di pagine in cui si riassumerà ciò che è emerso nei gruppi sinodali. Questa potrebbe sembrare un’operazione impossibile. In realtà. l’ho vissuta a
metà degli anni Novanta nella mia diocesi di origine, Forlì-Bertinoro: il vescovo di allora indisse un Sinodo proprio con questo metodo: due anni di ascolto, con gruppi di ascolto sinodale diffusi sul territorio e alla fine un anno di convocazione di assemblea e poi il documento finale, che però partisse da questo ascolto. Allora ero parroco e noi preti avevamo qualche riserva. Noi preti a volte siamo un po’ iperrealisti. Poi, invece, si formarono, nella mia diocesi di 126 parrocchie, circa 1.300 gruppi sinodali di otto o dieci persone, che ne coinvolsero altre 17mila circa e poi si arrivò a questo documento finale. Non è impossibile. Se si comincia a camminare in ascolto della parola di Dio e ci si confronta serenamente, ci si appassiona. Ci si accorse che questo era semplicemente essere Chiesa e che la “sinodalità” non è una categoria su cui ragionare ma un’esperienza da vivere.
La scelta di alcune priorità e il secondo anno di ascolto
A maggio, dunque, ci sarà una lettura approfondita dei contributi che verranno dalle diocesi e si opererà una scelta di alcune priorità (il papa già a Firenze chiese alla Chiesa italiana di scegliere tre o quattro priorità sulla base di Evangelii gaudium) e poi se ne parli, con stile sinodale, nelle parrocchie nei vicariati. Noi cercheremo di fare questo di scegliere alcune priorità (forse tre o quattro). Non sulla base di quello che si pensa interessi alla gente ma sulla base di quello che sarà emerso. E, poi, avremo un secondo anno di ascolto reciproco sempre puntando sulla narrazione. Su quali temi? Se lo sapessi vorrebbe dire che qualcuno di soppiatto avrebbe già preparato una tematica. Invece no: come Abramo che è partito senza conoscere bene la strada; è partito per fede. Il papa, in fondo, ha rilanciato la stessa cosa: quando alla segreteria (del Sinodo) ha detto: voi partite anche se non riuscirete a vedere bene dove andate, se la tempistica non sarà quella che immaginate. Addirittura, come battuta, disse: «Se non ci sarà papa Francesco, ci sarà papa Giovanni XXIV».
Non c’è un Sinodo prefabbricato
Questo vuol dire che non c’è un Sinodo prefabbricato con delle conclusioni già pronte. Vogliamo vedere quali sono le richieste più profonde del popolo di Dio. Faccio qualche esempio: immagino che a tutti noi stiano a cuore i giovani e gli adolescenti; oppure il tema della povertà vecchie e nuove; magari emergerà il
tema dell’impegno sociale politico dei cristiani? I temi che verranno individuati quest’anno saranno la base dell’ascolto del prossimo anno. E poi si arriverà in questa ipotetica tempistica (più vado avanti più uso il
condizionale) a metà del 2023 ad avere un orientamento già abbastanza approfondito su queste priorità da parte delle Chiese che sono in Italia.
Il momento sapienzale
Il secondo momento, dopo questo narrativo che stiamo vivendo e che in Italia durerà almeno un anno, dovrà avere carattere sapienziale: consisterà nel prendere in mano le narrazioni, i suggerimenti, i sogni, le proposte e chiederci: che cosa ci sta dicendo lo spirito? Non è un fatto puramente sociologico (che cosa le persone pensano della Chiesa? Quanti sono i credenti ? ecc…) ma dovremo andare più in profondità e
leggere il senso di fede del popolo di Dio.
Il senso di fede del popolo di Dio: il grande protagonista
Cos’è questa categoria? Papa Francesco l’ha rilanciata; il Concilio l’ha coniata, prendendola dalla tradizione antica (Lumen gentium 12): l’intero popolo dei battezzati (la Chiesa) in fatto di fede non si può sbagliare.
C’è un’infallibilità di tutto il popolo di Dio che viene prima di quella del papa e del collegio dei vescovi: è tutto il popolo di Dio che porta avanti la verità donata da Gesù: papa Francesco lo chiama fiuto soprannaturale, oppure un istinto spirituale che porta a distinguere la parola del Signore e la sua volontà da quelle umane, a distinguere le tentazioni che non vengono da Dio. Questo senso di fede del popolo di Dio dovrà essere il grande protagonista del Sinodo perché è questo il frutto dello spirito.
Vedete che si tratterà di andare in profondità. Non ci si potrà fermare al numero di persone che pensano che questa cosa debba cambiare, che questa debba andare avanti. Prima la Comunione, poi la Cresima o viceversa potrebbero essere temi importanti ma il punto sarà: dove ci porta il senso di fede del popolo
di Dio ?
Darci degli strumenti spirituali. La lettura sapienziale allora significa andare a trovare le vere questioni, le questioni profonde dentro le narrazioni.
Il momento assembleare: la fase profetica
E poi ci dovrà essere un momento assembleare, una grande convocazione: ce la stiamo immaginando per il 2025, in corrispondenza con il Giubileo, e vedremo che forma dovrà prendere. Dovrà essere l’espressione della Chiesa italiana in tutte le sue componenti che assume anche delle decisioni. Qui ci sarà anche da votare: quindi vedere quanto consenso di fede certe proposte avranno o non avranno. L’abbiamo chiamata la fase profetica perché dovrebbe essere anche un momento in cui si decidono scelte coraggiose, in cui ci chiediamo: come Chiesa in Italia, che tagli dobbiamo dare, che strade dobbiamo prendere perché il Vangelo corra di più? Se dovessi dirlo con un’immagine, sembra a volte che ci tiriamo dietro una carovana, perché, a volte, ci tiriamo dietro strutture ( e non sono solo strutture materiali ma sono anche strutture organizzative, pastorali, spirituali). Il papa , nell’apertura del Sinodo , ha detto una cosa molto forte: «La frase “si è sempre fatto così” avvelena le comunità cristiane»: è stato più chiaro che nell’ Evangelii gaudium.
No al tradizionalismo, sì a scelte profetiche
Non si tratta di buttare la tradizione (la tradizione rappresenta l’incarnazione continua del Vangelo); è il tradizionalismo che non serve, la nostalgia di un passato che non c’è più, l’attaccamento alle piccole cose che mi fanno sentire sicuro. Scelte profetiche vuol dire ossigenarsi con aria nuova. Rinunciare a qualcosa. Non è una carovana che ci serve, ma uno zaino, per poter affiancare le persone nel loro cammino. Gesù camminava sulle strade non portandosi dietro una carovana, ma la sua passione era incontrare le persone, soprattutto quelle che nessuno voleva incontrare. Bisogna ricominciare da lì.
Dal 2025 la riconsegna di un materiale, frutto del cammino del popolo di Dio
Poi, nella seconda parte del decennio, ci sarà la riconsegna alle diocesi (vedremo in che forma) di un materiale che non è elaborato in qualche ufficio della Cei ma è la raccolta di un cammino di Chiesa. Si vedrà quale forma prenderà questa riconsegna. Vedete che c’ è stato un cambiamento importante di metodo. Chi segue il cammino di Chiesa sa che negli anni Settanta, Ottanta e Novanta i vescovi sceglievano un tema e offrivano un documento programmatico ( piani pastorali o orientamenti pastorali: “Evangelizzazione e sacramenti”, “Comunione comunità”, “Evangelizzazione e testimonianza della carità”, “Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia”, “L ’educazione”. In seguito usciva un documento e, a metà del decennio, c’era un
convegno nazionale (Roma, Loreto, Palermo, Verona e Firenze). In questo modo la piramide era nella sua forma normale come le piramidi del Cairo. I vescovi elaboravano, ispirandosi a documenti dei papi, un documento che veniva affidato alle diocesi. Il rovesciamento è evidente perché noi non siamo partiti da un documento (le pagine del Sinodo sono solo orientamenti metodologici, ma non c’è un documento del decennio). Ciò significa che ce lo dobbiamo costruire. Questo è una grande sfida (qualcuno dice è un atto un po’ spericolato, qualcuno altro dice «Finalmente ci accorgiamo che cosa significa essere Chiesa».
Per finire: la minoranza creativa
Nel 2009 papa Benedetto XVI , di ritorno da un viaggio in Repubblica Ceca, a un giornalista che gli chiedeva «Come vede la Chiesa del futuro?» rispose: «Io vedo la Chiesa del futuro fatta di tante piccole comunità creative, da minoranze creative». Mi ha colpito positivamente perché vediamo che il rischio di essere minoranze risentite e aggressive é una tentazione che si infiltra anche nel nostro mondo cattolico. Minoranze creative ma non remissive, che vanno secondo le onde del mondo. Minoranze creative, accettiamo serenamente di non conteggiarci e il fatto che non facciamo massa e che non conquistiamo le folle e le piazze. Accettiamo serenamente che non siamo massa ma lievito, sale, piccole luci, però
facciamolo in modo creativo, perché, se c’è qualcosa che può perforare il muro dell’indifferenza è una testimonianza gioiosa, non una testimonianza lamentosa o aggressiva. Se questo Cammino sinodale fosse l’occasione per testimonianze gioiose credo che non sarebbe inutile.
monsignor Erio Castellucci